Allarme mascherine: «In mare sono più delle meduse»

Allarme mascherine «In mare sono più delle meduse»
Pubblicazione: 14 settembre 2020
Il primo segnale è arrivato dal pellicano, cioè battello spazzino che ripulisce dalla sporcizia l’acqua del porto di Ancona. Mentre a Venezia la clausura produceva video di visitatori in visibilio per le acque trasparenti dei canali (è un fenomeno normale, ma non ditelo ai turisti), ad Ancona il pellicano ha cominciato a estrarre dall’acqua del porto le mascherine celestine che galleggiavano sul filo della corrente e Rodolfo Giampieri, presidente dell’Autorità del porto, ha dovuto prendere atto delle presenze «sempre più massicce di mascherine e guanti, prima inesistenti». E dalla Francia l’associazione Opération Mer Propre (Operazione Mare Pulito) stimava che il mare è popolato «più da mascherine che da meduse».

Ecco l’allarme mascherine. Le K95 bianche e spesse, le Ffp2 con il bottone di sfiato oppure le più comuni chirurgiche leggerissime da mesi sono diventate presenze lorde e incivili negli angoli delle strade, ai bordi delle aiole e perfino sulle spiagge. «Ritorniamo a ricevere fotografie, soprattutto nelle località estive di mascherine monouso abbandonate», protesta la Legambiente Campania.

Incenerire, non disperdere
Con la riapertura delle scuole se ne stimano altri 11 milioni al giorno da gettare — raccomandano le aziende di nettezza urbana, gli esperti dell’Ispra e dell’Iss e il ministero dell’Ambiente — nella spazzatura indifferenziata. Le mascherine usate vanno nella spazzatura generica e non nelle raccolte differenziate in modo che la destinazione finale sia l’inceneritore, impianto che da mostro orribile e contaminante diventa igienico e provvidenziale distruttore di contagi.

«Purtroppo gli inceneritori non bastano, soprattutto nel Mezzogiorno dove questi impianti sono una rarità — avverte Chicco Testa, esperto di ecologia e presidente dell’Assoambiente — e di conseguenza un gran numero di rifiuti e di mascherine sanitarie usate non vengono distrutti ma finiscono nelle discariche o, peggio, dispersi nell’ambiente».

Oltre 160mila tonnellate
Quante sono le mascherine prodotte e gettate ogni giorno?

Fra la leggerissima chirurgica da 3 grammi, la più spessa da 5 grammi, la maschera complessa da 30 grammi, contando anche i guanti, l’Ispra ha stimato per tutto il 2020 tra le 160mila e le 440mila tonnellate di spazzatura da smaltire con il fuoco purificatore. Se solo l’1% delle mascherine utilizzate in un mese venisse smaltito in maniera non corretta, si avrebbero 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente.

Spiegava durante un’audizione parlamentare Alessandro Bratti, direttore dell’Ispra, che la quantità aggiuntiva di rifiuti rappresentato da questi dispositivi di protezione non è un problema di quantità da smaltire ma «devono terminare la loro esistenza negli inceneritori o nei termovalorizzatori». Insomma il problema non è la quantità ma il come vengono smaltiti questi oggetti: devono essere bruciati, non dispersi.

Il vero problema di gestione, secondo le imprese del settore dei rifiuti, sta soprattutto nella sicurezza di chi lavora a contatto con la spazzatura. Il problema non sono le mascherine da portare negli inceneritori insieme all’altra spazzatura indifferenziata; il problema è la sicurezza dei dipendenti delle aziende di nettezza urbana, che devono poter lavorare sereni con maschere efficaci e guanti ben protettivi.

Plastica per biocarburanti
Due note a margine. L’Interpol ha individuato traffici internazionali di mascherine contraffatte (soprattutto in Asia) mentre secondo uno studio pubblicato dalla rivista Biofuels del gruppo Taylor & Francis la plastica delle mascherine potrebbe essere riciclata per produrre biocarburante.