Crateri, gas e bombe di ghiaccio: cosa insegna la Siberia sul climate change

Crateri, gas e bombe di ghiaccio cosa insegna la Siberia sul climate change
Pubblicazione: 28 settembre 2020
Incendi-zombie, gigantesche voragini che si spalancano all’improvviso nella tundra, «porte verso l’inferno». Tra le tante regioni del mondo che gridano aiuto perché già stanno subendo effetti devastanti a causa del riscaldamento ambientale, la Siberia è una delle più tormentate: è come se nel suo immenso territorio si stessero aprendo delle ferite. Molte di queste si trovano in prossimità dei giacimenti, delle trivelle e dei gasdotti costruiti per sfruttare le ricchezze minerarie di questa terra, perché spesso la ragione dell’esistenza di installazioni e crateri è la stessa: la presenza di gas nel sottosuolo ghiacciato.

C’era una volta il ghiaccio eterno
Per il secondo anno consecutivo, quest’estate la Siberia ha registrato un nuovo record per numero ed estensione degli incendi, seguiti a un inverno e a una primavera anomali, in cui sulla costa artica sono state registrate temperature superiori ai 30 gradi: senza precedenti per la persistenza delle ondate di calore. Nell’Artico, avvertono gli scienziati, il riscaldamento ambientale marcia due volte e mezza più rapidamente che nel resto del pianeta. Il circolo vizioso che si installa vede gli incendi contribuire alle emissioni di diossido di carbonio e degli altri gas serra e all’aumento delle temperature, accelerando lo scioglimento del permafrost che, in una sorta di terremoto al rallentatore, minaccia città e infrastrutture nelle regioni polari. A sua volta, quello che veniva chiamato ghiaccio «eterno», e che riguarda il 65% del territorio russo, cedendo alimenta il riscaldamento globale, rilasciando gas che per millenni erano rimasti intrappolati tra i sedimenti accumulati a strati nel terreno. Finora la breve estate artica allentava la presa soltanto sugli strati più superficiali. Ora non più.

L’allarme di Copernicus
Secondo Copernicus, il servizio di monitoraggio ambientale dell’Unione Europea, nei primi sei mesi di quest’anno gli incendi che si sono sviluppati oltre il Circolo polare artico hanno rilasciato nell’atmosfera 244 milioni di tonnellate di diossido di carbonio: rispetto al totale di 181 milioni di tonnellate emesse nell’intero 2019. E per la maggior parte, gli incendi riguardano la grande repubblica di Sakha, o Yakutia, in Siberia. La «terra dormiente».

Secondo Copernicus, in realtà, parte degli incendi si possono appunto definire «zombie» perché riescono a rimanere attivi nei mesi invernali, covando nella torba sotto la superficie ghiacciata, per riesplodere in primavera e in estate. «Le temperature insolitamente alte e il basso tasso di umidità del suolo nei primi mesi dell’anno sono due condizioni che contribuiscono a provocare gli incendi e a farli durare a lungo», spiega Mark Parrington, senior scientist per Copernicus. È in questo scenario che in Siberia si sta manifestando con frequenza allarmante un fenomeno particolare: la comparsa di crateri, ritenuti il risultato dell’accumulo di gas metano in “sacche” create nel permafrost che si scioglie sottoterra. Cavità vuote riempite di gas ad alta pressione. Quando questa aumenta tanto da far esplodere il gas, scaraventa pezzi di ghiaccio e terra per diverse centinaia di metri, e lascia buchi profondi nel terreno, come i crateri di una bomba. Che in questo caso non cade dall’alto, ma prende forma nel sottosuolo.

Pingo numero 17
Il primo cratere è stato individuato in Siberia nel 2014, ma l’estate scorsa una squadra del canale tv russo Vesti Yamal, impegnata in un servizio nel nord della Siberia occidentale, ne ha avvistato per caso uno nuovo, particolarmente grande, il numero 17. Profondo 40 metri, largo 20. La sua esistenza è poi stata studiata e documentata da una spedizione di scienziati. Li accostano ai «pingo» che si ritrovano nelle zone artiche del pianeta, in Canada o in Alaska: collinette di terra che ricoprono un nucleo di ghiaccio, che si espande e le solleva. Se collassano, formano dei laghi. In Siberia, però, i pingo sono contraddistinti dalla presenza del metano che risale dagli strati più profondi del permafrost. È dunque forse per questo che i crateri si trovano tra le penisole di Yamal e Taymyr: le basi dei grandi progetti di sfruttamento degli idrocarburi su cui si appoggia il futuro dell’industria russa dell’energia.

IL MISTERO DEL GRANDE NORD
La maggior parte dei “pingo” siberiani è stata rinvenuta tra i giacimenti di gas della penisola di Yamal, il cuore dei nuovi progetti energetici russi. 

IL MISTERO DEL GRANDE NORD
Le ferite della tundra
«Quello che abbiamo visto oggi - spiega a Vesti Yamal Evgeny Chuvilin, ricercatore per l’Istituto di Scienza e Tecnologia a Skolkovo, il polo dell’innovazione nato presso Mosca - è incredibile per dimensioni e grandiosità. Sono le forze colossali della natura a creare oggetti simili». «Questo cratere è unico - aggiunge un altro componente della spedizione, Vasily Bogoyavlensky, geologo dell’Istituto per i problemi di petrolio e gas, presso l’Accademia delle Scienze russa -. Racchiude diverse informazioni scientifiche che non sono pronto a rivelare: questo è tema di pubblicazioni scientifiche, dobbiamo analizzare e costruire modelli tridimensionali».

L’attività umana come le trivellazioni di gas nelle grandi riserve di Yamal, prosegue Bogoyavlensky, «potrebbero essere un fattore che spiega queste eruzioni». Nei database dell’Istituto sono registrate più di 7mila formazioni del tipo pingo, concentrate tra la penisola di Yamal e, accanto, quella di Gyda: il 5-6%, secondo Bogoyavlensky, sono davvero pericolose. Per quanto immense e disabitate siano le terre siberiane, la possibilità di pingo esplosivi tra gasdotti e installazioni sono una minaccia reale per l’uomo e per l’ambiente. A Yamal, uno dei crateri scoperti è vicino al porto di Sabetta, cuore dei nuovi progetti energetici; un altro, il numero 1, non è lontano dal giacimento di Bovanenkovo, da cui parte il gas per il gasdotto Nord Stream.

Voci dall’inferno
Più a est, nel cuore della repubblica di Sakha, un altro cratere ha una storia diversa, ma come i pingo di Yamal lancia un avvertimento sul ritmo del cambiamento climatico. La popolazione locale yakuta lo chiama «la porta verso l’aldilà», attribuendo intimorita a origini infernali i rumori che provengono dal suo interno, gli scricchiolii del ghiaccio e delle pietre. Questa è una ferita ancora più evidente sul suolo siberiano, con la sua strana forma di freccia o di raggio incisa dove un tempo era la foresta. Le esplorazioni minerarie, l’abbattimento degli alberi e il cedimento del permafrost hanno iniziato a provocare negli anni 60 un crollo del terreno che sprofonda sempre più velocemente, monitorato dagli scienziati che lo usano per leggere avidamente 200mila anni e più di storia delle mutazioni ambientali. Lungo ormai un km e profondo di media 50 metri, il cratere Batagaika è il più grande al mondo: e continua a crescere, a mutare di forma, un’erosione che si allarga di 20-30 metri l’anno, inghiottendo terra come dicono i locali, esponendo sempre più gas. L’ennesimo, incessante campanello d’allarme per il pianeta.