Il 29 novembre 2019 i due rami del Parlamento tedesco hanno approvato la decisione di
introdurre un prezzo sul carbonio pari a €10 per tCO2 nel settore dei trasporti e del riscaldamento
domestico, che insieme rappresentano il 32% delle emissioni di gas a effetto serra in Germania.
Ma, sotto la spinta del Partito dei Verdi, durante il processo di negoziazione fra il Bundestag e il
Bundesrat è stato deciso di innalzare questo prezzo da €10 a €25 per tCO2 a partire dal 2021, il
che implica un aumento del prezzo finale pari a 7 centesimi per litro sulla benzina, 8 centesimi su
gasolio e olio combustibile, e 0,5 centesimi per kWh di energia.
Con il meccanismo adottato le
aziende che vendono combustibili fossili saranno tenute ad acquistare diritti di emissione, il cui
prezzo salirà gradualmente dai €25 per tonnellata del 2021 a €55 entro il 2025, per essere poi
determinato dal mercato a partire dal 2026, anche se non potrà scostarsi da un corridoio di
prezzo fissato tra €55 e €65 per tonnellata.
È in ogni caso prevista la possibilità per il governo di
introdurre misure correttive per mantenere la competitività delle imprese ed evitare i rischi di
carbon leakage. Le nuove entrate saranno destinate a diminuire la sovrattassa imposta dalla
EEG (Erneuerbare-Energien-Gesetz) che pesa sulle bollette elettriche, e a finanziare lo sviluppo
delle energie rinnovabili.
Il sistema tedesco di quote di emissione per i trasporti e il riscaldamento domestico (restano
ancora escluse le emissioni di metano negli allevamenti intensivi in agricoltura) si svilupperà in
parallelo all’Emission Trading System (ETS) attivato a livello europeo e coprirà la maggior parte
delle emissioni di gas serra non incluse nell'ETS. Il prezzo sarà imposto sul settore dei trasporti
(esclusi i trasporti aerei) e sul riscaldamento domestico, gravando su combustibili come benzina,
diesel, gasolio, gas naturale e carbone, e verrà pagato non direttamente da chi emette anidride
carbonica, bensì dalle aziende che mettono in circolazione i combustibili o dai produttori di
combustibile (upstream approach).
Già negli “Orientamenti politici 2019-2024” presentati il 16 luglio 2019 al Parlamento europeo
dall’allora candidata Presidente von der Leyen si affermava il proposito di “estendere il sistema di
scambio delle quote di emissione al settore marittimo, di ridurre nel tempo le quote gratuite
assegnate alle compagnie aeree e di applicare questo meccanismo anche ai trasporti e al settore
residenziale”. La decisione tedesca rappresenta un passo in questa direzione e consente di
evitare una scelta contrastata fra l’adozione di un sistema in cui vengono fissate ex ante le
quantità di emissioni e un sistema di prezzi da imporre sul carbonio, in cui la quantità di emissioni
dipende dall’elasticità della domanda per combustibili fossili. In effetti, in Germania viene adottato
un meccanismo analogo all’ETS europeo: vengono distribuiti dei permessi di emissione che
verranno venduti, a partire dal 2026, tramite aste, fissando un corridoio entro cui il prezzo potrà
oscillare.
Questi permessi dovranno essere acquisiti da chi immette sul mercato combustibili fossili e il
relativo costo verrà poi trasferito – nella misura in cui le condizioni del mercato consentiranno una
traslazione in avanti – sul prezzo di vendita ai consumatori finali.
In definitiva, avendo adottato
questo upstream approach, lo strumento prescelto risulta analogo all’introduzione di un’accisa
come la carbon tax, ma presenta il vantaggio di inserirsi in un meccanismo già esistente come
l’ETS. La decisione tedesca rappresenta dunque una spinta forse decisiva per introdurre a livello
europeo un carbon pricing esteso ai settori non inclusi nell’ETS, nella prospettiva di una proposta
che la Commissione si è impegnata a presentare entro il 2024 per disporre di nuove risorse
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– 22 giugno 2020 proprie destinate a finanziare il bilancio europeo, garantendo così non solo il pagamento degli
interessi sui fondi raccolti sul mercato e destinati a finanziare il Next Generation EU, ma anche, a
partire dal 2028, il rimborso dei titoli emessi dalla Commissione.
Allo stato dei fatti, l’introduzione delle nuove risorse proprie – previste nella Comunicazione della
Commissione di presentazione del Recovery Plan del 27 maggio scorso –, in particolare di
un’imposta sulle società fondata su una base imponibile determinata secondo principi comuni e
di una web tax, deve passare necessariamente attraverso la procedura prevista dall’articolo 311
TFUE, con l’approvazione unanime del Consiglio e la ratifica dei 27 paesi membri. Soltanto il
Border Carbon Adjustment (BCA) può essere introdotto secondo la procedura legislativa
ordinaria in quanto in base all’articolo 3(e) TFUE l’Unione ha competenza esclusiva per quanto
riguarda la politica commerciale comune e l’articolo 207(2) prevede esplicitamente che “il
Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura
legislativa ordinaria, adottano le misure che definiscono il quadro di attuazione della politica
commerciale comune”.
E il BCA, trattandosi di un diritto doganale, rappresenta una risorsa
propria attribuita direttamente al bilancio dell’Unione.
Ma anche sul punto dell’introduzione delle nuove risorse proposte dalla Commissione sono
emerse importanti novità in quanto il Commissario Gentiloni ha più volte fatto riferimento al fatto
che la Commissione starebbe esaminando attentamente la possibilità di utilizzare a questo scopo
come base giuridica l’articolo 116 del TFUE, laddove si afferma che “qualora la Commissione
constati che una disparità esistente nelle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative
degli Stati membri falsa le condizioni di concorrenza sul mercato interno e provoca, per tal
motivo, una distorsione che deve essere eliminata, essa provvede a consultarsi con gli Stati
membri interessati.
Se attraverso tale consultazione non si raggiunge un accordo che elimini la
distorsione in questione, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura
legislativa ordinaria, stabiliscono le direttive all'uopo necessarie.
Può essere adottata ogni altra
opportuna misura prevista dai trattati”.
Se questa ipotesi risulterà percorribile, la possibilità di raggiungere l’obiettivo di introdurre nuove
risorse proprie diventerà più concreta e si potrà – realisticamente – avviare la transizione
ecologica con l’introduzione di un carbon pricing a livello europeo, che eviti distorsioni nella
concorrenza legate a un trattamento differenziato nei paesi membri delle emissioni di anidride
carbonica e, al contempo, reperire le nuove risorse proprie proposte dalla Commissione e
destinate al finanziamento del bilancio europeo.
Un passo avanti decisivo per la realizzazione di
un’Unione fiscale, che rappresenti il secondo pilastro – accanto all’Unione monetaria – di
un’Unione a struttura federale.
* Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia e Vice Presidente del Centro
Studi sul Federalismo (l’11 giugno scorso è uscito da Il Mulino il suo nuovo libro Carbon pricing)
(Le opinioni espresse non impegnano necessariamente il CSF)