La crescita incontrollata dei boschi italiani

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Pubblicazione: 29 giugno 2017
In Italia, di anno in anno, le foreste avanzano inesorabili. La superficie boscata nel nostro Paese ha raggiunto i 10,9 milioni di ettari. Rispetto al 2005 è il 5,8% in più. In trent'anni i boschi hanno conquistato oltre 3 milioni di ettari. E oggi coprono un terzo della nostra penisola.
 
I numeri, recentemente pubblicati dal Crea nell'Annuario dell'agricoltura italiana 2014, sono questi. Ma come dobbiamo interpretarli? L'inarrestabile avanzata del bosco è una bella notizia? In realtà, no. Perché è il risultato dell'abbandono, non di politiche mirate. Nel rapporto si legge come, in media, solo 1.700 ettari l'anno siano dovuti a interventi di rimboschimento. Il bosco si impossessa di prati d'altura dove le vacche non vengono più portate a pascolare, di terreni incolti da decenni. Sono praticamente scomparse le malghe. Lo stesso destino è toccato ai terrazzamenti con i quali gli agricoltori di montagna sfruttavano ogni singolo metro quadrato a loro disposizione. Quella tendenza che Mario Rigoni Stern raccontava già 30 anni fa nei suoi racconti sull'altopiano di Asiago, si è poi estesa su scala nazionale.
La storia recente delle foreste italiane è legata a doppio filo all'abbandono delle aree rurali. È una storia che comincia più o meno negli anni Cinquanta e ha un finale imprevedibile. Perché è un'evoluzione ecologica mai vista prima d'ora nella storia del nostro paese dopo l'anno Mille.
 
Da “giardino” a giungla

Negli anni Trenta in Italia si stimava vi fossero circa 4 milioni di ettari di bosco (Agnoletti M., The Italian Historical Rural Landscape), contro gli 11 di oggi. In parte, questo era dovuto ad un utilizzo intensivo delle nostre foreste e alle devastazioni ambientali della Prima guerra mondiale. Situazione analoga si è ripetuta nel secondo Dopoguerra quando furono promulgate le prime, e uniche, leggi volte proprio ad un rimboschimento massiccio del territorio italiano. Tuttavia non è solo una questione di quantità, ma di qualità del bosco.
“Negli ultimi decenni oltre ad aumentare la superficie coperta dal bosco è aumentata soprattutto la densità forestale. Significa che c'è molto meno spazio tra un albero e l'altro e un sottobosco che, sempre più spesso, è ormai impenetrabile” spiega Raoul Romano, ricercatore del Centro di politiche e bioeconomia del Crea ed esperto di politiche ed economia forestale, co-autore del capitolo dell'Annuario dedicato ai boschi insieme a Maria Rosaria Pupo D'Andrea.
“Per capire quello che è successo bisogna anche ricordare che all'inizio degli anni Sessanta, il 50% delle cucine italiane era ancora alimentato a legna. Il gas ha raggiunto la totalità delle abitazioni solo nei primi anni 70”. Il legno è stato per millenni una materia prima fondamentale e l’unica risorsa energetica. Per cucinare e per riscaldare gli ambienti. “Ecco perché allora era quasi impossibile trovare un ramo secco in un bosco. Perché le foreste venivano coltivate, gestite e controllate. Tanto che Victor Hugo e i grandi viaggiatori dell‘800 paragonavano i nostri boschi a dei giardini” continua Romano. Oggi, parlare di “gestione del bosco” è impopolare, ma la crescita incontrollata fa male al bosco stesso.
“Una foresta impenetrabile è quasi indifendibile in caso di incendio o di attacchi parassitari. Abbiamo avuto molti esempi a riguardo negli ultimi anni: dalla Sardegna alla Calabria alla Puglia. Spesso è impossibile entrare nel bosco per spegnere le fiamme e l'unica alternativa è quella dei Canadair, ma a volte neanche questi bastano ”. Anche le bufere di vento fanno strage di alberi, nonostante sia quasi impossibile trovare qualche notizia a riguardo sui media nazionali. Centinaia di ettari di bosco cancellati da un devastante effetto domino, in cui un albero spezzato dal vento abbatte quello adiacente, e così via. Anche in questo caso, non è colpa della natura ma dell'uomo.
 
Gli errori del passato

Già, perché nel secondo Dopoguerra in Italia una politica di rimboschimento è stata fatta. Ma è stata fatta male, senza tener conto della biodiversità tra una zona e l'altra del nostro Paese né alcun riguardo per le specie autoctone. “Per rimboschire si utilizzarono soprattutto eucalipto e pino nero, anche in zone dove non erano mai cresciuti prima d'allora”, continua Romano, che è anche consulente per il ministero delle Politiche agricole e forestali (Mipaaf).
Tuttavia, nel passato qualcosa l'abbiamo azzeccata. Già dagli anni Trenta, con la legge Serpieri, il prelievo di legname - soprattutto in montagna - doveva e deve ancora oggi rispettare il cosiddetto “vincolo idrogeologico”. Che non significa vietare il taglio del bosco ma gestire in modo oculato il patrimonio forestale. Per evitare il dissesto idrogeologico e le inondazioni a valle, ma soprattutto  per controllare la crescita dei boschi. Un principio che in un certo senso è stato poi elevato a sistema negli anni Novanta in tutta Europa con la Gestione forestale sostenibile. Ma che nel frattempo noi abbiamo dimenticato. “Gestire un bosco non significa solamente tagliare alberi, la gestione forestale è un processo colturale e culturale che accompagna lo sviluppo di una risorsa valorizzandone i beni economici e i servizi ecosistemici che questa può fornire all’uomo, oggi come in futuro” puntualizza Romano.
 
Gli intoccabili

Nell'Annuario del Crea c'è un altro dato che, a prima vista, potrebbe sembrare incoraggiante. Ogni anno si utilizza (cioè si taglia) solo il 30% della nuova superficie boschiva. Significa che, ogni anno, per 100 nuovi alberi che nascono se ne tagliano 30. Mentre in Europa si preleva, in media, il 60% della nuova biomassa e in Paesi come l'Austria si supera il 90%.
Il risultato – come si legge nel report del Crea - è che poi l'Italia importa più l'80% della legna dall'estero. E pensare che la legna ci servirebbe eccome: “La nostra industria del legno è la prima in Europa con un fatturato superiore persino all'Ikea. Le cucine e gli arredamenti made in Italy sono apprezzati in tutto il mondo. Tutto questo, con legna che arriva da altri Paesi” spiega il ricercatore del Crea. A rifornirci di biomassa sono soprattutto i nostri vicini: Francia, Slovenia, Austria, Croazia e Svizzera.
Anche i (tanti) impianti a biomasse disseminati per il nostro Paese, sarebbero fermi senza la materia prima d'oltreconfine. L'Italia ha nei suoi boschi un potenziale economico inutilizzato. E anche se il prelievo di legna raddoppiasse rispetto a oggi, le nostre foreste continuerebbero ad aumentare di anno in anno.
 
In tutto questo, sembra quasi incredibile che stia aumentando anche il cemento. Nel 2013 (dati Ispra) si è registrato il record di consumo di suolo in Italia: +6,9% (negli anni '50 era al 2,7%). Siamo stretti in una morsa. Cemento da una parte, bosco selvaggio dall'altra. A perderci è la qualità del suolo, la pastorizia e l'agricoltura.