geotermia


Con il termine geotermia si intende la disciplina delle scienze della Terra che studia l'insieme dei fenomeni naturali coinvolti nella produzione e nel trasferimento di calore proveniente dall'interno della terra stessa (fonte Wikipedia)

La desinenza geo, si riferisce appunto all’energia termica presente nel sottosuolo.

Ci sono più modalità per sfruttarla e ognuna possiede caratteristiche che la rendono idonea per il sito o per la tipologia e potenza dell’impianto, all’utilizzo che si prevede di alimentare con tale fonte.

La geotermia per la climatizzazione o la produzione di acqua calda per uso sanitario, in particolare, è  definita a “bassa entalpia”, ovvero che non idonea ad essere direttamente utilizzata per produrre energia termica sfruttabile, perché  disponibile a bassa temperatura e, necessita di quella che viene comunemente definita pompa di calore, per trasferire l’energia ad un livello di temperatura  utilizzabile.

L’utilizzo della “pompa di calore” permette rendere fruibile l’energia immagazzinata dalla crosta terrestre, grazie al ciclo di Carnot.

Ciclo termodinamico semplice e virtuoso, che permette con rendimenti altissimi, il trasferimento di energia termica da una fonte a temperatura più bassa ad un utilizzatore  a temperatura più alta.

L’energia termica e la temperatura sono due cose molto differenti.

L’energia immagazzinata in corpi e sostanze a temperatura molto bassa, non rendono l’energia termica utilizzabile ai fini della climatizzazione.Il rendimento della pompa di calore è tanto più elevato quanto più sono vicine le temperature fra la sorgente e l’utilizzo.Per questo motivo, è sempre preferibile l’utilizzo della geotermia con impianti funzionanti a basse temperature. 

Geotermia diretta tramite sonde statiche

Vengono posate, tramite perforazione in profondità delle tubazioni in materiale plastico per far circolare del liquido, normalmente acqua glicolata per evitare problemi di congelamento, per recuperare energia termica dal terreno circostante sfruttando il gradiente termico (mediamente +3°C ogni 100 m). 

Il liquido primario viene inviato ad una pompa di calore che provvede a trasferire l’energia termica estratta dal terreno ad un livello di temperatura più alto. Ovviamente si devono prevedere un numero di sonde tali da garantire la potenza necessaria. Nella zona di Milano mediamente una sonda a doppio U, posata fino a 150 m di profondità ha una resa media di 6 kWh.

Quindi, per fare un esempio pratico, la suddetta sonda preleva dal terreno a contatto con la tubazione 6 kW con un salto termico di 3°C (es. +5° + 8°) e li trasferisce all’impianto a + 35°→38°, con la particolarità che si trasferirà alla sorgente calda anche l’energia termica che si genera dal lavoro meccanico del compressore frigorifero, quindi più dei 6 kW originari.

Il limite di questo metodo è intuitivamente la potenza, che è legata al numero di sonde che si possono posare, visto che la profondità massima è quella sopra menzionata.

Inoltre c’è una distanza minima da rispettare per le sonde, che serve ad evitare la “saturazione” del terreno circostante. In pratica, la sonde attraversano sicuramente la falda e se sono troppo vicine possono provocare il congelamento del terreno. Si effettua al riguardo, una valutazione preventiva sulla capacità di risposta termica del terreno, sia in assorbimento che in cessione.

Per quanto sopra, in genere le sonde statiche si possono utilizzare solo per impianti di piccola potenza. Installare 10 sonde vuol dire soddisfare una potenza che difficilmente supera i 60 kWt e occorre disporre di terreno sufficientemente ampio.

Il vantaggio è che le autorizzazioni, se il terreno è privato, sono piuttosto semplici da ottenere poiché non sussiste il reale prelievo diretto di acqua di falda.

Geotermia attraverso pozzi geotermici

Per impianti di grossa potenza, il metodo di elezione è l’utilizzo dell’acqua di falda come vettore termico.

Si provvede alla perforazione di un pozzo geotermico fino al raggiungimento della prima falda, in genere nel territorio metropolitano entro i 40 m. Ovviamente le dimensioni, ovvero il diametro, saranno in relazione alla potenza necessaria e quindi anche il numero dei pozzi stessi.

Contemporaneamente alla perforazione, si introduce una apposita camicia, in pratica un tubo in materiale atossico, dove verrà poi calata una  elettropompa di emungimento con caratteristiche idonee in termini di portata e prevalenza.

Il tubo che costituisce la camicia del pozzo, nella parte inferiore sotto la pompa di emungimento, è fornito di sottilissimi tagli che servono a filtrare l’acqua di falda prima che arrivi alla bocca aspirante della pompa.

L’acqua di falda aspirata, ulteriormente filtrata, viene convogliata alla pompa di calore, dove cede il calore estratto dal terreno e ritorna in falda più fredda. L’energia assorbita, grazie al ciclo di Carnot, viene trasferita all’impianto e anche in questo caso con l’aggiunta dell’energia termica prodotta dal lavoro meccanico del compressore.

L’acqua di falda può essere restituita tramite un apposito pozzo di resa, ovviamente perforato a valle e ad una distanza che eviti interferenze, oppure se esiste la possibilità, può essere resa superficialmente in roggia.

Solo per fare un esempio, un pozzo con un diametro effettivo di 300 mm può assicurare una portata di 27 litri/sec per una potenza di circa 550 KWt.

In questo caso l’iter autorizzativo da sottoporre alla Provincia è piuttosto complesso e lungo, circa 120 gg e i pozzi possono essere realizzati solo all’esterno delle zone di rispetto dei pozzi di prelievo dell’acqua potabile. 


Esiste, infine, una terza possibilità, in uso da poco grazie al progresso della tecnologia, che permette di coniugare i due metodi sopra descritti. Ovvero la semplicità, soprattutto autorizzativa delle sonde statiche e un aumento sensibile della potenza utilizzabile a parità di spazi occupati, che si avvicina abbastanza al sistema con l’utilizzo dell’acqua di falda.

In pratica sono dei veri e propri scambiatori muniti di proprie elettropompe, da inserire nel terreno, devono stare immersi nella falda con un battente (livello dell’acqua sopra lo scambiatore) di almeno 10 mt.

Le pompe all’interno dello scambiatore prelevano acqua dal livello superiore della falda e la convogliano nella parte inferiore e, attraversando lo scambiatore, trasferiscono l’energia termica dalla falda al liquido secondario (acqua glicolata) che raggiunge la pompa di calore.

Il ciclo è poi identico agli altri due metodi. Non utilizzando direttamente l’acqua di falda, il percorso autorizzativo è semplificato. Un pozzo da 300 mm, con le caratteristiche di quello dell’esempio sopra menzionato permette di ottenere dallo scambiatore circa 80 kWt.