Le emissioni di gas a effetto serra (GHG) hanno toccato un ulteriore picco nel 2022, secondo i dati recentemente pubblicati dal JRC, il centro di ricerca della Commissione europea.
Più precisamente, le emissioni a livello globale (che comprendono la CO2, ed anche il metano e il protossido d’azoto, questi ultimi generati in buona parte da allevamento e agricoltura) sono aumentate dell’1,4% nel 2022, mentre sono superiori del 7% rispetto al 2015, l’anno in cui sono stati firmati gli accordi di Parigi sul clima. In pratica, le emissioni continuano ad aumentare costantemente, e mostrano una flessione solo in corrispondenza delle crisi economiche, come nel caso della crisi finanziaria globale del 2009 e di quella dovuta al Covid nel 2020.
Lo sviluppo vorticoso delle economie emergenti gioca un ruolo preponderante. I Paesi BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – rappresentano il 45% delle emissioni mondiali, di cui due terzi sono generate dalla sola Cina. Non è un fenomeno totalmente nuovo: anche in termini cumulati, le emissioni BRICS, dal 1970 ad oggi, pesano per un terzo del totale mondiale.
La Cina è di gran lunga il più grande emittente mondiale, già da quasi due decenni (il sorpasso sugli Stati Uniti avvenne nel 2004). Gli Stati Uniti contribuiscono attualmente per l’11% delle emissioni globali, mentre l’Unione europea per il 7%.
Gli accordi di Parigi non sono dunque bastati a invertire la rotta: rispetto al 2015, i BRICS hanno messo a segno incrementi delle emissioni a doppia cifra; mentre l’Unione europea cala dell’8%, gli Stati Uniti del 4%. Risulterà quindi sempre più rilevante il dialogo con i Paesi emergenti (non solo BRICS), e i relativi finanziamenti allo sviluppo: senza i Paesi emergenti e senza finanziamenti la transizione non si può compiere.
In questo contesto, non si tratta solo di finanziare la transizione (investimenti in mitigazione, per ridurre l’emissione di agenti inquinanti), ma anche proteggere i Paesi più esposti, spesso poveri, dagli effetti del clima, come le alluvioni, gli incendi, e le tempeste (investimenti per misure di adattamento).
Tuttavia, non basta considerare le emissioni in termini assoluti. Infatti, quelle in termini pro-capite, in rapporto quindi agli abitanti di ogni Paese, sono l’architrave degli accordi di Parigi. Esse sono leggermente calate rispetto al 2015, ma rimangono differenze stridenti tra i Paesi.
Le emissioni medie di ogni cittadino statunitense sono il doppio di quelle di un cittadino europeo, e mediamente sei volte quelle di un cittadino indiano. Le emissioni pro-capite cinesi sono in costante e veloce aumento: rappresentano ormai un terzo più elevate di quelle dei cittadini dell’Unione europea.
In questo contesto, l’unica nota positiva deriva proprio dall’Unione europea, che vede calare le proprie emissioni sia in termini assoluti che pro-capite, sebbene il fenomeno sia in atto fin dagli anni ’80 e non mostri una particolare e significativa accelerazione. L’Italia ha a sua volta seguito i trend europei.
I recenti dati sulle emissioni, dopo il crollo del 2020 legato alla pandemia e la ripresa del 2021, ci ricordano ulteriormente che c’è ancora molta strada da fare. Si è già perso parecchio tempo ed è necessario accelerare. Infatti, quando si parla di cambiamento climatico – il più grande fallimento dell’economia di mercato, come è stato definito – fa davvero impressione come si sia potuto indugiare così a lungo.
La conferenza di Rio de Janiero sul clima risale al 1992: gli effetti dell’azione umana sul cambiamento climatico erano già molto chiari allora. Nel 1996 il vicepresidente USA Al Gore presentava il suo documentario (drammatico) sul clima, e nel 1997 riceveva il premio Nobel per la pace, assieme agli scienziati dell’IPCC (la struttura creata dall’ONU per studiare i cambiamenti climatici).
I rapporti pubblicati dall’IPCC rappresentano a loro volta, fin dal 1990, degli appelli a fare qualcosa per cambiare il corso del riscaldamento del pianeta; l’ultimo rapporto IPCC parla di codice rosso per l’umanità. Solo nel 2015 vengono firmati gli accordi di Parigi, un punto di svolta. Greta Thunberg inizia a protestare di fronte al Parlamento svedese nel 2018.
Nel frattempo, i danni “certificati” derivanti dagli eventi atmosferici acuti (alluvioni, tempeste, incendi) negli ultimi dieci anni hanno toccato quasi 2000 miliardi di dollari, hanno coinvolto oltre un miliardo e mezzo di persone, causando la morte di almeno 180 mila individui. Inoltre, il riscaldamento climatico coinvolge sempre di più la vita di tutti noi. Un paradosso dover registrare emissioni ancora in aumento a livello globale.