«Abbiamo una sola Terra»: per salvarla bisogna cambiare i comportamenti

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Pubblicazione: 6 giugno 2022
#OnlyOneEarth. Soltanto una Terra, ci ricorda oggi l’Onu, nel cinquantesimo anniversario dell’istituzione della Giornata mondiale dell’Ambiente. Quest’anno il testimone ritorna alla base, a Stoccolma, dove si svolse dal 5 al 16 giugno 1972 la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente, nel corso della quale venne adottata la Dichiarazione che definì i 26 principi sui diritti dell'ambiente e le responsabilità dell'uomo per la sua salvaguardia.

Nei giorni scorsi Stoccolma è stata di nuovo il teatro di una conferenza mondiale sull’ambiente, intitolata “Stockholm+50”. Il tema di quest'anno è lo stesso della Conferenza del 1972 ed è stato scelto per ribadire ancora una volta la necessità di vivere in modo sostenibile, poiché le risorse sono limitate e devono essere salvaguardate.

Fin dagli anni Sessanta l’inquinamento industriale su larga scala e la distruzione di massa di interi ecosistemi documentata in tutto il mondo portò a una diffusa preoccupazione internazionale per la crisi globale dell’ambiente, in particolare in Svezia, che prese l’iniziativa per gettare le basi della cooperazione internazionale in materia ambientale.

L’istanza svedese venne accolta il 15 dicembre del ’69 dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, due anni dopo la proposta iniziale. Da quel momento la delegazione svedese si mise al lavoro per preparare la conferenza, che il 5 giugno ’72 riunì a Stoccolma i rappresentanti di 114 Paesi e raggiunse un livello di consenso senza precedenti sulla necessità di muoversi in difesa dell’ambiente, malgrado le tensioni fra i due blocchi, che rispecchiavano già allora i contrasti fra Paesi ricchi e poveri.

Un mondo a credito
In qualità di ospite, il primo ministro svedese Olof Palme criticò nel suo discorso di apertura il mondo industrializzato per lo sfruttamento ecologico ed economico delle risorse a spese dei Paesi in via di sviluppo. Indira Gandhi, primo ministro indiano, gli fece eco individuando nella povertà la principale causa del degrado ambientale e chiedendo aiuti allo sviluppo.

Visto dalla prospettiva attuale, però, il mondo di allora era un posto ancora relativamente intatto, con un patrimonio di risorse e di ecosistemi naturali molto superiori ad oggi. La popolazione umana non aveva ancora raggiunto i 4 miliardi, contro gli 8 miliardi di oggi, e in base ai calcoli del Global Footprint Network nel 1971 l’umanità rientrava ancora nei limiti del pianeta, quindi non consumava più di quanto la Terra fosse in grado di offrirle, in termini di risorse naturali, nell’arco di un anno.

Quello, secondo il think tank fondato da Mathis Wackernagel che tutti gli anni determina l’Overshoot Day, è stato l’anno di svolta. Dal ’72 ad oggi, l’umanità ha preso a consumare più risorse di quelle che ha a disposizione, facendo arretrare sempre di più il giorno dello sforamento, che ormai cade a fine luglio.

In pratica, secondo i calcoli del team di Wackernagel, oggi l’umanità avrebbe bisogno di 1,8 pianeti per coprire il suo fabbisogno. E questa è solo la media globale. Per i Paesi industrializzati, ovviamente, l’Overshoot Day cade molto prima della media: per l’Italia è già passato, quest’anno cadeva il 15 maggio.

Più di cinque Italie
A partire da quella data viviamo a credito e quindi per coprire i nostri consumi avremmo bisogno di 2,7 pianeti. Se poi dovessimo basarci solo ed esclusivamente sulle risorse naturali presenti nel nostro Paese per coprire i nostri consumi, avremmo bisogno di 5,3 Italie, al secondo posto nel mondo dopo il Giappone (che avrebbe bisogno di 7,9 Giapponi).

Dopo di noi nella top ten dei Paesi creditori vengono Svizzera, Cina, Regno Unito, Portogallo, Germania, Spagna, India e Usa. Se invece si guarda al bilancio dei Paesi in relazione alle risorse globali, i meno virtuosi sono gli americani: se tutti vivessimo come loro, avremmo bisogno di 5,1 pianeti per coprire i nostri consumi.

Seguono l’Australia, la Russia, la Germania, il Giappone, il Portogallo, la Francia, la Spagna, la Svizzera e l’Italia. Pochissimi Paesi al mondo, ormai, possiedono le risorse naturali interne per sostenere i propri consumi e sono sufficientemente virtuosi da non aver bisogno di più di un pianeta: di solito sono Paesi molto poveri, come l’Angola, l’Eritrea, il Congo, l’Honduras o la Birmania. Un modo per spostare la data in là, però, ci sarebbe.

Si è visto nell’anno della pandemia, il 2020, quando per la prima volta in anni recenti l'Overshoot Day ha fatto un balzo sul calendario, spostandosi al 22 agosto, salvo riportarsi al 29 luglio nel 2021, tornando al business as usual.

L’urgenza dell’azione
Il Global Footprint Network suggerisce, come principale ambito su cui agire, il cibo. Potremmo «spostare la data dell’Overshoot Day di 32 giorni», se prendessimo questi tre semplici provvedimenti: eliminare gli sprechi, spostarci su un’alimentazione a base vegetale, adottare pratiche agricole rigenerative.

I Paesi riuniti nella conferenza “Stockholm+50”, da parte loro, hanno ribadito la necessità di accelerare l'attuazione dell'Agenda 2030, l’applicazione dell'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e l'adozione dei piani di ripresa verdi post-Covid.

«Dobbiamo lavorare con urgenza per trasformare le nostre economie e società», ha detto Inger Andersen, direttrice dell'Unep (United Nations Environment Programme), che per la Giornata mondiale dell'Ambiente 2022 ha sviluppato e messo online una Guida pratica per vivere in modo sostenibile in armonia con la natura.

È un mantra che si ripete da cinquant’anni.