"Il clima sta cambiando davanti ai nostri occhi", ha dichiarato il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale Petteri Taalas, presentando i nuovi dati riguardanti la concentrazione di gas serra, il riscaldamento e l’acidificazione degli oceani, che hanno raggiunto livelli record nel 2021.
Nonostante i continui allarmi però, sembra che il tema "lotta ai cambiamenti climatici", anche in seguito alla pandemia e ora alla guerra in Ucraina, sia passato in secondo piano. "Possiamo definire i cambiamenti climatici come una catastrofe al rallentatore", ci dice Stefano Caserini, docente di mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, "e questo è un aspetto problematico, siccome molti dei suoi impatti sono progressivi. Ci sono e sono reali, ma non avvengono come un cataclisma o un terremoto o anche un conflitto, che provoca la distruzione in breve tempo. Con le nostre emissioni di gas serra, stiamo causando una serie di danni che in parte stiamo già vedendo, ma in larga parte lasceremo a chi viene dopo di noi, ossia le generazioni future". Insomma, nonostante viviamo in parte questi cambiamenti nella nostra quotidianità, "non ce ne accorgiamo abbastanza", sottolinea.
Gli investimenti nelle fonti fossili non si fermano
Uno dei capisaldi dell’Accordo di Parigi firmato nel 2015 era quello di evitare nuovi investimenti nelle fonti fossili, "e questo non sta avvenendo. Anzi, in molti paesi ci sono ancora degli investimenti nella prospezione petrolifera, nel cercare nuove fonti di approvvigionamento di questo tipo e di gas". Infatti, stando a un recente inchiesta del Guardian, le più importanti società del mondo che operano nel settore dell’estrazione delle fonti fossili, avrebbero in programma decine e decine di grandi progetti. Progetti che se portati a termine porterebbero a fare impennare le emissioni.
Il conflitto in Ucraina inoltre ha spinto i prezzi di petrolio e gas ancora più in alto, incentivando il loro sfruttamento. "Questi investimenti creano un problema serio, perché se li si fanno, poi si cercherà comunque di tirar fuori tutto quel petrolio, quel gas che invece non è compatibile con i numeri dell'Accordo firmato nel 2015", continua Caserini. "Quindi è un calcolo matematico piuttosto semplice quella che ci dice che se vogliamo rimanere ben sotto i 2 gradi, che è l'obiettivo dell'Accordo di Parigi, che poi prevede uno sforzo per cercare di fermarsi anche sotto a un grado e mezzo, dobbiamo finirla con il mondo dei combustibili fossili molto velocemente e costruire un sistema energetico alternativo. Purtroppo, gli interessi legati alle energie fossili sono molto forti e quindi non c'è da sorprendersi del fatto che si vada avanti con questo sistema".
Guerra e clima
Ma la guerra ha portato un nuovo elemento a detrimento della "causa clima" e parliamo delle spese destinate alle spese militari? "Non mettiamo per forza in contrapposizione le spese per il cambiamento climatico a quelle della guerra. Le analisi dicono che c'è liquidità sufficiente per agire in modo deciso contro il riscaldamento globale, indipendentemente da quelle che sono le spese in armamenti, ma che comunque non sono spese, che non possiamo permetterci o che vengono messe in discussione se si fa qualcosa d'altro".
Le proiezioni degli scienziati si stanno verificando, l’aumento delle temperature sono in linea con quelli che erano gli scenari costruiti dai climatologi. "Stiamo andando verso un surriscaldamento di 2.5-3°C. Se venissero attuati tutti gli impegni promessi potremmo scendere al di sotto e non avvicinarci ai due gradi", afferma infine l’esperto. "Un'azione globale contro riscaldamento globale si comincia a vedere. Però non è in linea con lo sforzo che sarebbe necessario per stare bene sotto i due gradi, che richiede qualcosa di molto, ma molto più ambizioso".
Il cambiamento climatico è anche legato all’insicurezza alimentare: i periodi di siccità sono sempre più frequenti e intensi, con l’Africa che si mostra il continente in assoluto più vulnerabile. Nell’Africa Orientale, secondo i dati Oxfam e Save the Children, ogni 48 secondi vi è un morto a causa della siccità e della desertificazione. Il paradosso, come si può leggere nell’approfondimento pubblicato sul sito dell’ISPI, è che per esempio il Corno d’Africa non ha "colpe per desertificazione poiché non incide nella crisi climatica, essendo responsabile di appena lo 0,1% delle emissioni globali di CO2".