“Siamo sull’orlo dell’abisso”: il rapporto State of Global Climate 2020 dell’ONU

“Siamo sull’orlo dell’abisso” il rapporto State of Global Climate 2020 dell’ONU
Pubblicazione: 22 aprile 2021

Nello State of Global Climate 2020 il punto sullo stato di salute del clima nel mondo

L’ONU conferma che il 2020 è stato fa i 3 anni più caldi della storia e il segretario generale Antonio Guterres avverte: “siamo sull’orlo di un abisso climatico”. Il Palazzo di Vetro ha presentato ieri la versione definitiva del rapporto State of Global Climate 2020 in cui fa il punto sullo stato di salute del clima del pianeta e mostra l’intreccio tra le diverse crisi in cui siamo invischiati: climatica, economica, sociale.

Il 2021 sia “l’anno dell’azione sul clima”
Come è solito fare, specie quando si tratta di clima, Guterres non si è tenuto a freno. Nella conferenza stampa di presentazione del rapporto State of Global Climate 2020 il diplomatico portoghese avverte che non c’è più tempo. “Questo è l’anno dell’azione”, ha ripetuto. “Il clima sta cambiando e gli impatti sono già troppo costosi per le persone e per il pianeta. I paesi devono presentare, molto prima della Cop26, piani ambiziosi per ridurre le emissioni globali del 45% entro il 2030″.

E’ tempo di eliminare i sussidi alle fossili, reindirizzandoli sulle energie rinnovabili per accelerare la transizione energetica, sottolinea il numero 1 del Palazzo di Vetro. Accelerazione che è assolutamente necessaria e che deve vedere gli Stati come protagonisti: “I paesi devono presentare nuovi ambiziosi contributi determinati a livello nazionale (NDC) progettati dall’accordo di Parigi. I loro piani climatici per i prossimi 10 anni devono essere molto più efficienti “.

A Guterres fanno eco le dichiarazioni di Petteri Taalas, segretario dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), l’agenzia che ha firmato il rapporto State of Global Climate 2020. Taalas ha avvertito che la “tendenza negativa” del clima potrebbe continuare per i prossimi decenni indipendentemente dagli sforzi di mitigazione, e ha quindi chiesto più investimenti nelle misure di adattamento al cambiamento climatico. Anche per il Wmo non c’è tempo da sprecare e l’orizzonte comune dovrebbe essere quello di emissioni zero entro il 2050.

“Uno dei modi più efficaci per adattarsi è investire in servizi di allerta precoce e reti di osservazione meteorologica. Diversi paesi meno sviluppati hanno grandi lacune nei loro sistemi di osservazione e mancano di servizi meteorologici, climatici e idrici all’avanguardia”, ha concluso Taalas.


Emissioni, oceani e criosfera
La panoramica globale degli indicatori dello stato di salute del clima globale inizia con le emissioni. Il focus non è tanto sui valori assoluti, che avrebbe un significato solo relativo visto lo stravolgimento dei pattern consolidati causato dalla pandemia. Il rapporto ONU si sofferma invece sulla concentrazione di CO2 in atmosfera. Un indicatore meno soggetto alle oscillazioni temporanee nelle emissioni di gas serra, ma decisivo per comprendere l’intensità del cambiamento climatico in atto e la sua traiettoria futura. Lo State of Globale Climate 2020 dichiara ufficialmente superata la soglia dei 410 ppm (parti per milione) come media globale e stima che, se continua il trend degli ultimi anni, nel 2021 si supererà il livello di 414 ppm.

Passando agli oceani, le masse di acqua marina che assorbono circa un quarto delle emissioni antropiche di gas serra e fanno da cuscinetto contro il riscaldamento globale sono sotto forte stress. L’80% degli oceani ha patito almeno un’ondata di calore nel corso del 2020. E quasi la metà (45%) delle acque salate del pianeta ha dovuto fare i conti con ondate di calore definite intense. Continua a crescere anche il livello medio dei mari, con un’accelerazione negli ultimi anni dovuta allo scioglimento accelerato dei ghiacci artici e antartici.

La situazione della criosfera continua a segnare record di riscaldamento globale. I Poli hanno un tasso di aumento delle temperature doppio rispetto al resto del mondo, con un impatto potenzialmente dirompente sul clima globale nel caso si attivassero meccanismi di feedback positivo di grande entità, ad esempio rispetto alle emissioni di metano generate dallo scioglimento del permafrost artico.

L’Artico ha toccato nel 2020 il suo secondo valore minimo storico per l’estensione dei ghiacci al termine della stagione estiva, totalizzando appena 3,74 milioni di km2. Il mare di Laptev, una delle aree più preziose per comprendere l’andamento del clima nell’Artico, non ha mai iniziato a perdere ghiaccio così presto come nel 2020. Groenlandia e Antartide, quanto a scioglimento dei ghiacci, sono rimasti vicini alla media di lungo periodo.


Eventi climatici estremi
Anche sotto il profilo degli eventi climatici estremi, il rapporto State of Global Climate 2020 registra una serie di record poco invidiabili. Gli Stati Uniti escono dalla loro peggiore stagione degli incendi, l’Australia ha avuto picchi di caldo record che sfiorano i 49°C, e gli incendi nell’Artico hanno imperversato. Nella regione siberiana infatti le temperature medie sono state di ben 3°C superiori alla media e hanno toccato picchi anche di 38°C.

Africa e Asia hanno continuato a registrare il maggior numero di inondazioni e di eventi siccitosi. In particolare, la concentrazione delle precipitazioni in pochi momenti durante l’anno, con la caduta di livelli molto consistenti di acqua, ha interessato l’area del Sahel e del Corno d’Africa. Questo ha contribuito a scatenare una nuova invasione di locuste, che si sono poi diramate nella regione nelle settimane successive. La siccità ha invece interessato Brasile, Argentina e Paraguay in modo particolare, oltre che il Sudafrica dove però non ha raggiunto i livelli estremi toccati nel 2018.

Il 2020 è stato anche l’anno delle tempeste tropicali: un record , anche qui, con ben 30 cicloni generati nel quadrante atlantico che sono riusciti a toccare terra, squassando soprattutto il Centro America. L’Europa ha subito bombe d’acqua di grande entità, come la tempesta Alex a inizio ottobre.

L’impatto sulle popolazioni
A fare le spese dei cambiamenti climatici sono soprattutto i paesi e le popolazioni più vulnerabili, anche dal punto di vista socio-economico. Dopo decenni di declino, l’aumento dell’insicurezza alimentare dal 2014 è guidato da conflitti e rallentamento economico, ma anche dalla variabilità climatica e da eventi meteorologici estremi. “Tra il 2008 e il 2018, gli impatti dei disastri sono costati ai settori agricoli delle economie dei paesi in via di sviluppo oltre 108 miliardi di dollari in raccolti danneggiati o persi e produzione di bestiame”, si legge nel rapporto State of Global Climate 2020. “Il numero di persone classificate in condizioni di crisi, emergenza e carestia è aumentato a quasi 135 milioni di persone in 55 paesi nel 2019, secondo FAO e WFP”. Nel 2020 a questo trend si è sovrapposto il Covid-19, che ha ulteriormente messo pressione sui sistemi alimentari locali, regionali e globali.

La crisi climatica continua anche a essere causa di migrazioni. Nell’ultimo decennio, gli eventi legati al clima hanno innescato in media 23,1 milioni di sfollati di persone ogni anno, la maggior parte dei quali all’interno dei confini nazionali. Il 2020 conferma questi numeri. “Durante la prima metà del 2020 sono stati registrati circa 9,8 milioni di spostamenti, in gran parte dovuti a pericoli idrometeorologici e disastri, concentrati principalmente nell’Asia meridionale e sudorientale e nel Corno d’Africa”. Non ci sono ancora dati consolidati sulla seconda metà dell’anno, ma si prevede che la cifra finale batta su valore medio degli ultimi anni, a causa delle inondazioni nella regione del Sahel, della stagione degli uragani nell’Atlantico e degli impatti dei tifoni nel sud-est asiatico.