La scarsità d’acqua ha un impatto anche sul ciclo della CO2 negli ecosistemi forestali
La scarsità d’acqua diminuisce la capacità dei suoli di sequestrare la CO2. Come? Rallentando l’attività dei lombrichi, tassello nascosto ma fondamentale per trasformare la materia organica in nutrienti e, nel processo, fissare la CO2 nel terreno. Lo ha stabilito uno studio di lungo periodo condotto dallo Swiss Federal Institute for Forest, Snow and Landscape Research nel canton Vallese.
Da 19 anni i ricercatori dell’istituto svizzero lavorano su alcune particelle di pineta particolarmente esposta a condizioni di scarsità d’acqua. Mentre una parte del terreno viene regolarmente irrigato, la porzione restante viene lasciata in condizioni naturali senza alcun intervento. In questo modo, lo studio indaga gli effetti sul ciclo del carbonio, la velocità di decomposizione della lettiera forestale, e riesce a chiarire anche il ruolo degli organismi che lo mediano – come, appunto, i lombrichi.
Risultato? Sono stati trovati molti più lombrichi nelle parcelle irrigate che in quelle non irrigate. Ma non solo loro. Lo stesso risultato vale per organismi più piccoli, come i collemboli e le cocciniglie, tutti fondamentali per la decomposizione dello strato di materiali organici deposto sulla superficie del terreno. “Se i suoli forestali diventano troppo secchi, ciò inibisce l’attività e la quantità di organismi presenti nel suolo e le foreste possono assorbire meno carbonio a lungo termine”, spiega il responsabile dello studio Frank Hagedorn.
Cosa succede a lombrichi e altri organismi della lettiera? La scarsità d’acqua li induce a rintanarsi più in profondità, per inseguire l’umidità del terreno, ma così facendo non lavorano più alla decomposizione della lettiera. Oppure l’ammanco idrico innesca la loro estivazione, un processo di autodifesa con cui questi organismi si proteggono dal caldo eccessivo e da condizioni sfavorevoli limitando la loro attività.
Un processo, quello dell’impoverimento dei suoli a causa della scarsità d’acqua, che avviene in tempi estremamente rapidi. “L’humus del suolo si forma nel corso di centinaia o migliaia di anni. Non ci aspettavamo di poter vedere differenze nei livelli di carbonio immagazzinati dopo soli dieci anni”, conclude lo scienziato.