Gli scienziati Onu: il climate change minaccia la vita di miliardi di persone

Immagine 2022-03-01 094543
Pubblicazione: 1 marzo 2022
L’aggressione russa all’Ucraina mette in secondo piano le crisi che l’umanità si trova a fronteggiare, compresa quella, gravissima, del surriscaldamento del pianeta. Il climate change, però, non aspetta e presenta il conto del fallimento globale dell’azione per frenarlo. Lo ricordano gli scienziati Onu, nel rapporto del Comitato intergovernativo sul climate change (Ipcc), appena pubblicato. «Il cambiamento climatico indotto dall’uomo sta causando sconvolgimenti pericolosi e diffusi, che incidono sulla vita di miliardi di persone in tutto il mondo», si legge nella nota di accompagnamento, diffusa lunedì 28 febbraio. Con costi economici enormi e in continuo aumento.


La Bibbia del climate change
«Circa 3,3-3,6 miliardi di persone vivono in contesti altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici», sottolinea l’Ipcc nel suo rapporto su «effetti, adattamento e vulnerabilità» del surriscaldamento globale: 3.500 pagine, frutto del lavoro di 270 scienziati di tutto il mondo e basato su 34mila pubblicazioni scientifiche. L’approvazione riga per riga da parte dei 195 Governi membri del panel e il riconoscimento dei risultati (dopo un esame durato due settimane dal 14 al 26 febbraio) gli conferiscono la massima credibilità nella comunità scientifica e politica. In sostanza, un testo sacro sul climate change.

Le responsabilità dell’uomo
Un precedente rapporto dell’Ipcc, pubblicato ad agosto del 2021 (Climate Change: The Physical Science Basis), chiariva in modo insolitamente netto qualcosa che appare scontato da tempo e cioè che l’aumento delle temperature del pianeta e i danni che ne seguono sono dovuti all’uomo. Secondo quel report, gli effetti combinati dell’attività umana hanno aumentato la temperatura media globale di circa 1,1 gradi rispetto alla media della fine del XIX secolo e già nei prossimi due decenni il surriscaldamento arriverà a 1,5 gradi, senza svolte drastiche per eliminare i gas serra, anidride carbonica ma anche metano. A rischio anche la soglia dei 2 gradi a fine secolo. Sono i tetti da non superare, quelli indicati dall’Accordo di Parigi del 2015. Sopra questi valori, secondo la scienza, diventano catastrofici fenomeni già in atto come desertificazione, alluvioni, scioglimento dei ghiacciai, acidificazione e innalzamento del livello degli oceani, uragani.

Sotto la pressione dei movimenti ambientalisti ispirati dall’attivista Greta Thunberg, la Cop26 di Glasgow, a novembre 2021, è riuscita a tener viva l’agenda di Parigi, ma ha prodotto risultati blandi sulla decarbonizzazione delle economie del pianeta. Sulla base delle politiche nazionali annunciate, le emissioni di gas serra porteranno a un aumento della temperatura di circa 2,3-2,4 gradi. Ammesso che vengano attuate: gli impegni presi non stanno reggendo l’urto della prima emergenza energetica, quella scoppiata a fine 2021 (e destinata a inasprirsi con la guerra scatenata dalla Russia), come dimostra l’aumento dell’utilizzo del carbone e la vicenda della tassonomia verde dell’Unione Europea, bocciata dagli stessi esperti della Piattaforma Ue sulla finanza sostenibile.

Il nuovo report sugli effetti del climate change aggiunge che «il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha causato impatti avversi diffusi e relative perdite e danni alla natura e alle persone». A farne le spese sono soprattutto gli Stati, le popolazioni e gli individui più poveri: «Le persone e i sistemi più vulnerabili sono colpiti in modo sproporzionato», afferma il report.

«Ho letto questo rapporto con molta paura e tristezza, ma non con sorpresa. Conferma quello che stiamo già vedendo e sperimentando, il cambiamento climatico sta causando perdite e danni devastanti e colpisce in modo sproporzionato le persone vulnerabili», commenta Madeleine Diouf Sarr, rappresentante del gruppo dei Paesi meno sviluppati nei colloqui sul clima alle Nazioni Unite.

Il climate change inasprisce così le diseguaglianze globali e alimenta flussi migratori e, secondo alcuni osservatori, aumenta il rischio di tensioni politiche e di conflitti per il controllo di risorse idriche e alimentari, dove queste diventano scarse.

In prima linea ci sono le popolazioni degli Stati insulari e delle regioni costiere, minacciate già oggi dall’innalzamento degli oceani. Quasi l’11% della popolazione mondiale (896 milioni di persone) viveva in zone a bassa altitudine a ridosso del mare nel 2020. Si stima che diventeranno oltre un miliardo nel 2050.

«La mia gente sta pagando il prezzo della dipendenza del mondo dai combustibili fossili, ho visto case spazzate via dal mare», afferma Anote Tong, ex presidente di Kiribati, Stato insulare: 119mila abitanti assediati dalle acque del Pacifico.

«Siccità e caldo torrido, distruzione dell’ecosistema, tempeste più forti e massicce inondazioni, estinzione di specie: questo non è un elenco di scene in un film apocalittico. È il contenuto di un autorevole rapporto scientifico sugli effetti climatici che stanno già devastando il nostro pianeta e la popolazione», dichiara Stephen Cornelius, del Wwf.

Il report non azzarda un calcolo dei costi economici del climate change: non glielo consente «l’ampia gamma di stime globali e la non comparabilità tra le metodologie». Si limita ad affermare che i danni potrebbero essere più elevati di quelli ipotizzati.

Terribile avvertimento
Il rapporto dell’Ipcc «è un terribile avvertimento sulle conseguenze dell’inazione», ha affermato Hoesung Lee, presidente del panel Onu. «Dimostra - ha aggiunto - che il cambiamento climatico è una minaccia grave e crescente per il nostro benessere e per la salute del nostro pianeta». È il grido di allarme più grave mai lanciato dall’Ipcc, secondo il quale «l’entità degli effetti dei cambiamenti climatici sono maggiori di quanto stimato nelle valutazioni precedenti».

«Le mezze misure non sono più un’opzione», aggiunge Lee. Gli scienziati Onu ricordano che «l’aumento delle ondate di calore, della siccità e delle inondazioni stanno già superando la soglia di tolleranza di piante e animali, causando mortalità di massa in specie come alberi e coralli». E danneggiano, a più livelli, la salute delle persone e la loro aspettativa di vita. «Questi eventi estremi - si legge nel report - si verificano simultaneamente, con effetti a cascata sempre più difficili da gestire. Espongono milioni di persone a una grave insicurezza alimentare e idrica, specialmente in Africa, Asia, Centro e Sud America, nelle piccole isole e nell’Artico». Alcune contromisure hanno ridotto le vulnerabilità, ma il report avvisa che «l’aumento delle condizioni meteorologiche e climatiche estreme ha già causato effetti irreversibili, con sistemi umani e naturali spinti oltre la loro capacità di adattamento».

Il tempo corre
Più farà caldo, più difficile diventerà coltivare, produrre, trasportare, distribuire, acquistare e conservare il cibo. Decine di milioni di persone soffriranno la fame nei prossimi decenni, con le popolazioni più gravemente colpite concentrate nell’Africa subsahariana, Asia meridionale e America centrale. Nello scenario peggiore, fino a 183 milioni di persone in più diventeranno denutrite nei Paesi a basso reddito entro il 2050. L’aumento delle temperature renderà più diffuse malattie come dengue, malaria, colera. E faciliterà scoppio e diffusione delle pandemie.

«La finestra di tempo per garantire un futuro vivibile si sta rapidamente riducendo, qualsiasi ulteriore ritardo nell’azione globale contro il climate change ne comporterà la chiusura», avvisa Hans-Otto Pörtner, copresidente del II gruppo di lavoro dell’Ipcc, quello che ha redatto il nuovo rapporto.

«Questo rapporto è un brutale promemoria che il cambiamento climatico sta già uccidendo le persone, distruggendo la natura e rendendo il mondo più povero. Non ci possono essere più scuse e niente più greenwashing», afferma Laurence Tubiana, Ceo della European Climate Foundation e architetto dell’Accordo di Parigi del 2015, quello che pone il tetto di 1,5 gradi per il riscaldamento globale, indicato come il più sicuro dalla scienza.

Soldi e volontà politica
Per arginare la deriva, occorrono finanziamenti e volontà politica, dice Pörtner: «Restaurando ecosistemi degradati e conservando in modo efficace ed equo dal 30 al 50% di terre, risorse di acqua dolce e oceani, si potrà beneficiare della capacità della natura di assorbire e immagazzinare anidride carbonica e accelerare il progresso verso lo sviluppo sostenibile, ma una finanza adeguata e il sostegno politico sono essenziali». «Le scelte e le azioni che saranno fatte nei prossimi dieci anni saranno decisive», avvisano gli scienziati dell’Onu.

Al primo posto c’è l’abbandono, più rapido possibile, delle fonti fossili, a cominciare dalla più sporca, il carbone. L’unica via concreta per abbattere le emissioni di gas serra climalteranti e contenere l’aumento delle temperature.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, alza i toni: da parte delle classi dirigenti mondiali c’è «una abdicazione criminale» nella lotta al riscaldamento globale, dice. Più volte Guterres ha provato a destare l’attenzione dei Governi, non è stato molto ascoltato. Il rapporto Onu, aggiunge, è «un’accusa schiacciante per l’incapacità dei leader. I colpevoli sono i più grandi inquinatori del mondo. Il carbone e gli altri combustibili fossili soffocano l’umanità».

I rischi per l’Europa
Il report analizza le conseguenze del climate change per le diverse regioni del pianeta. Per l’Europa, «i decessi e le persone a rischio di disagio da calore aumenterà da due a tre volte», con un aumento delle temperature di 3 gradi, rispetto a 1,5 gradi. Al di sopra dei 3 gradi, si raggiungono i limiti della capacità di adattamento delle persone e dei sistemi sanitari esistenti.

La produzione agricola scenderà in molte aree e non sarà compensata dagli incrementi nel Nord Europa. Già con aumenti delle temperature di 2 gradi, in Italia e negli altri Paesi del Sud, più di un terzo della popolazione sarà esposto a scarsità di acqua.

Africa: fame e migrazioni
L’Africa è il continente che meno ha contribuito alle emissioni di gas serra, eppure è destinato a pagare un caro prezzo al climate change. Anzi, lo sta già facendo. Per esempio, la crescita della produttività agricola si è ridotta del 34% dal 1961 a causa del cambiamento climatico, più che in ogni altra regione del pianeta. In quasi tutti i Paesi africani, l’Ipcc prevede che il Pil pro capite al 2050 sarà di almeno il 5% più alto
se il riscaldamento globale sarà tenuto entro la soglia di 1,5 gradi.

Nell’Africa subsahariana, nel 2018 e nel 2019, oltre 2,6 e 3,4 milioni di persone sono state costrette a migrare a causa del clima, un fenomeno destinato a crescere. Con un riscaldamento globale di 1,7°C entro il 2050, 17–40 milioni di persone potrebbero lasciare i loro insediamenti nella regione. Si sale a 56–86 milioni con un aumento di 2,5 gradi.

Il report di marzo
Il prossimo mese è atteso un nuovo report dell’Ipcc: la materia è ancora più delicata, poiché conterrà le raccomandazioni per frenare il climate change. Lo scorso autunno, Greenpeace ha rivelato che molti Paesi (tra cui Australia, Arabia Saudita, Iran, Giappone) stanno facendo pressione per annacquarne il linguaggio. La dipendenza dalle fonti fossili è dura a morire.