Trovata contaminazione da forever chemicals in aumento nel firn, lo strato di neve cumulata
La contaminazione chimica è arrivata a intaccare anche le regioni più remote del Pianeta, come l’Antartide: questi i risultati dello studio “Increasing Accumulation of Perfluorocarboxylate Contaminants Revealed in an Antarctic Firn Core (1958-2017)” dell’Università di Lancaster in collaborazione con il British Antarctic Survey e il tedesco Hereon Institute of Coastal Environmental Chemistry e pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology. La ricerca ha dimostrato un aumento della contaminazione da forever chemicals, sostanze chimiche tossiche fluorurate altamente stabili e pertanto difficilmente degradabili. L’incremento della presenza di questi inquinanti sarebbe derivato dalla sostituzione, avvenuta negli ultimi decenni, dei CFC, composti chimici contenenti cloro, fluoro e carbonio, a causa dei loro impatti ambientali.
L’indagine ha analizzato il firn, lo strato di neve compattata conservatasi dalle stagioni passate, dell’altopiano di Dronning Maud Land in Antartide orientale: i risultati hanno mostrato un record storico di accumulazione di inquinanti chimici tra il 1957 e il 2017, in aumento negli ultimi decenni.
I forever chemicals sono sostanze che non si decompongono in natura, tra queste troviamo prodotti come gli acidi perfluorocarbossilici (PFCA), utilizzati generalmente nella produzione di rivestimenti antiaderenti, idrorepellenti e antincendio. Una delle più note è l’acido perfluorooctanoico (PFOA), in grado di accumularsi negli alimenti ed entrare nell’organismo umano con conseguenze negative sulla salute che possono arrivare alla compromissione del sistema immunitario e all’infertilità.
Markus Frey del British Antarctic Survey ha commentato: “Questo è un altro esempio del fatto che, nonostante la sua estrema lontananza, l’inquinamento causato dall’uomo raggiunge il continente antartico e viene poi archiviato in neve e ghiaccio, e ci permette di stabilire una storia dell’inquinamento atmosferico globale e dell’efficacia delle misure di mitigazione”.
La contaminazione da forever chemicals in Antartide
La sostanza più abbondante riscontrata è l’acido perfluorobutanoico (PFBA), un composto a catena corta la cui presenza è aumentata significativamente dal 2000 al 2017.
Secondo il professor Crispin Halsall della Lancaster University questo aumento può essere spiegato con la sostituzione dei prodotti a catena lunga come gli PFOA, ritenuti pericolosi per la salute, con quelli a catena corta, come il PFBA. Il passaggio fu decretato nel 1987 dal Protocollo di Montreal, un accordo globale che prevedeva di eliminare gradualmente tutte le sostanze chimiche che riducevano lo strato di ozono stratosferico terrestre.
Le analisi sui campioni di neve sono state effettuate dal dottor Jack Garnett, che ha così commentato questo passaggio: “Il Protocollo di Montreal ha certamente fornito enormi benefici e protezione all’ozono, al clima e a tutti noi. Tuttavia, l’impatto ambientale e tossicologico più ampio di alcuni di questi prodotti chimici di sostituzione è ancora sconosciuto”.
Dall’analisi dei diversi strati di neve gli scienziati hanno scoperto che è possibile provare l’aumento dei PFOA a partire dalla metà degli anni ‘80, ma che invece non se ne osserva un declino tale da essere coerente con l’eliminazione di queste sostanze dalla produzione industriale globale. Questo può rivelare che non vi è stato un reale arresto nella loro produzione o che, nonostante l’arresto, i loro precursori volatili sono rimasti concentrati nell’atmosfera.
Le cause della contaminazione in Antartide
Secondo il team, è il fatto che le sostanze trovate derivano da precursori volatili liberatisi dai siti di produzione che sono rimasti in sospensione nell’atmosfera, degradandosi per la luce solare, fino a formare i più resistenti PFCA. Con il passare degli anni e l’accumulo di strati di neve, le sostanze contaminanti sarebbero poi state intrappolate nel manto nevoso.
I risultati dello studio sono coerenti con le stime sulle emissioni chimiche di PFCA e ci forniscono un quadro globale di come questi prodotti si muovano nell’atmosfera, confermando l’aumento della loro presenza nell’Artico così come nell’altopiano tibetano.
La dottoressa Anna Jones, direttrice della British Antarctic Survey, ha dichiarato: “Questi risultati ci ricordano che le nostre attività industriali hanno conseguenze globali. L’Antartide, così lontana dai processi industriali, contiene questo segnale dell’attività umana derivante dalle emissioni a migliaia di chilometri di distanza. La neve e il ghiaccio dell’Antartide sono archivi critici del nostro impatto sul Pianeta”.