Arrigoni: Pnrr, i pregiudizi del Governo e le proposte della Lega

Arrigoni Pnrr, i pregiudizi del Governo e le proposte della Lega
Pubblicazione: 1 febbraio 2021
L'ultima versione del Piano di Ripresa ha confermato la riduzione dei finanziamenti per la “rivoluzione verde e la transizione ecologica”, passati da 74,3 miliardi della prima bozza agli attuali 69,8 miliardi (v. Staffetta 26/01). Crede che queste risorse siano sufficienti per affrontare le numerose sfide in materia ambientale?

Innanzitutto la riduzione nella bozza approvata porta a una percentuale di impegni per la rivoluzione verde sotto il tetto del 37% che pareva fosse vincolante in base alle indicazioni date dall'Ue. Questo è un aspetto che anche il centro studi di Camera e Senato ha evidenziato. Attualmente siamo intorno al 31% e questo è un problema. Poche o tante che siano, l'importante è che le risorse siano finalizzate a progetti cantierabili e che si rispettino determinati principi fondamentali: gli investimenti devono perseguire una sostenibilità ambientale, coniugata ad una sostenibilità economica e sociale; i progetti devono assolutamente basarsi sul principio della neutralità tecnologica, elemento che in questo piano non si scorge. Per esempio sulle fonti rinnovabili si punta esclusivamente sull'eolico e fotovoltaico, tra l'altro offshore con piattaforme galleggianti di cui non ci sono applicazioni consolidate. Si tratta di due forme di produzione di energia non programmabili. Quindi bisogna pensare anche al problema della sicurezza del sistema energetico. Nel Piano non c'è nulla per quanto riguarda le altre fonti rinnovabili come la geotermia, il biometano e le biomasse. Noi lo abbiamo sottolineato e abbiamo fatto delle controproposte. A mio avviso il Piano è stato fatto assolutamente male. Al di là della stroncatura dell'ufficio studi, manca l'individuazione di progetti completi. Ci sono troppe linee di indirizzo ma non riusciamo a capire quale sia la ricaduta. Nella nostra controproposta, che è in divenire, abbiamo inoltre sottolineato che il Piano non è coerente neanche con il Pniec vigente. Figuriamoci quando il nostro Governo dovrà tener conto dei nuovi obiettivi che il Consiglio europeo si è dato per il taglio del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030.

Quindi nella vostra controproposta del Piano di Ripresa, su cosa state puntando in materia energetica?

Dal punto di vista delle rinnovabili, nell'attuale versione del Piano di Ripresa si parla solo di investimenti su eolico e fotovoltaico. Ho dei dubbi sul fotovoltaico offshore, rispetto al quale il Governo ha deciso di puntare sulla produzione di 100 MW. Stiamo parlando di 250 ettari in mare. Io francamente ho delle perplessità. Peraltro abbiamo registrato due giorni fa l'esito del quarto bando del DM Fer 1 che è stato un fallimento. Meno del 25% della potenza utile e incentivabile è stato oggetto di domanda. C'è un confronto spietato, che è umiliante per l'Italia, con quanto è accaduto in Spagna. Lì c'erano 3 GW di potenza incentivabile e sono state fatte domande per 9.700 MW, ossia tre volte di più. Inoltre ci sono state aggiudicazioni a un prezzo medio di 25 euro/MWh, a fronte dei 69 euro/MWh dell'Italia. C'è quindi un problema strutturale. Bisogna prima pensare alle riforme ed è certamente necessario intervenire sugli iter autorizzativi, che devono essere semplificati, velocizzati e stabilizzati. Rimanendo sulle rinnovabili noi proponiamo lo sviluppo delle Fer che hanno già un consolidamento nel nostro Paese e sono programmabili. Parlo in particolare della geotermia e delle biomasse, sia per la produzione di energia elettrica che termica. Su questo aspetto l'Italia ha un potenziale enorme e dobbiamo correre almeno al pari degli altri Paesi europei. Quando faccio riferimento alle biomasse, ovviamente ho presente quali sono i problemi dal punto di vista delle emissioni di polveri sottili. Per questo noi pensiamo a uno sviluppo basato sull'utilizzo delle caldaie adiabatiche. C'è poi lo sviluppo del biometano. Infine nel nostro contropiano abbiamo messo nero su bianco due misure concrete riguardanti il supporto finanziario per realizzare nuova capacità produttiva da fonte rinnovabile. Noi pensiamo che debba essere sostenuto lo sviluppo dei contratti Ppa e anche l'introduzione di un meccanismo di tax credit. Si tratta di un credito d'imposta per la realizzazione degli impianti fer, in un periodo breve dove c'è incertezza sul prezzo dell'energia elettrica. È un intervento finanziario complementare alle aste, che non devono essere abbandonate ma devono essere assolutamente migliorate.

Lei ha parlato di neutralità tecnologica, ma per quanto riguarda l'idrogeno il Piano di Ripresa fa una scelta netta a favore della produzione da fonte rinnovabile (cosiddetto idrogeno verde). Rispetto alle precedenti versioni del Piano, è stato eliminato ogni riferimento ai progetti di produzione dell'idrogeno attraverso lo stoccaggio della CO2 (cosiddetto idrogeno blu). Condivide questa impostazione?

No. Su questo aspetto mi sono già espresso recentemente in commissione Ambiente, che era stata chiamata ad approvare una risoluzione sulla Legge europea sul clima. Nelle osservazioni noi avevamo proposto di considerare lo sviluppo e il sostegno anche all'idrogeno blu. La proposta è stata respinta e quindi è rimasto l'idrogeno verde. Nella controproposta del Pnrr abbiamo chiarito che almeno nel breve-medio periodo debba essere sostenuto anche lo sviluppo a bassa emssione, ossia quello dell'idrogeno blu con la cattura e lo stoccaggio della CO2. Per diversi motivi: l'idrogeno verde si produce attraverso l'elettrolisi dell'acqua, con l'utilizzo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Oggi noi siamo lontanissimi dal perseguire gli obiettivi di Fer per la produzione di energia elettrica al 2030, che dovranno essere ulteriormente innalzati. Stiamo procedendo a meno del 20% di incremento della capacità generativa rispetto alla velocità con cui dovremmo andare. Inoltre la Commissione europea impone l'addizionalità sull'uso dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili per produrre l'idrogeno verde. In poche parole, l'energia prodotta da fonti rinnovabili deve essere prima utilizzata per perseguire gli obiettivi del Pniec e poi quella che avanza può essere impiegata per produrre idrogeno verde. Visto che siamo già lontani dal perseguire gli obiettivi del Pniec già vigenti, non abbiamo sufficiente energia rinnovabile per produrre idrogeno verde. Poi l'idrogeno verde ha un costo elevato, tre volte superiore rispetto all'idrogeno blu. Sarebbe folle pensare oggi di basare lo sviluppo del mercato dell'idrogeno solo sulla tecnologia verde, quando noi non abbiamo ancora definito la nostra strategia nazionale dell'idrogeno. Nelle ultime ore la commissione Ambiente dell'Europarlamento ha espresso un parere proprio sulla strategia europea dell'idrogeno, invitando a sviluppare anche quello blu. Questo è significativo, perché vuol dire che finalmente anche in Europa sta arrivando un po' di pragmatismo. Sarebbe sbagliato trascurare lo sviluppo dell'idrogeno. Ci sono altri Paesi europei, come la Francia, che oltre al verde stanno puntando sulla produzione di idrogeno da nucleare (cosiddetto idrogeno viola).

Nel campo dell'economia circolare, il Piano di Ripresa cerca di affrontare il tema del deficit impiantistico che caratterizza soprattutto il centro sud. Durante un recente convegno, lei ha dichiarato che questa parte del Piano è scritta “in modo un po' fumoso” (v. Staffetta Rifiuti 27/01). Può spiegarci il motivo?

Mi risulta che al centro-sud gli impianti siano carenti dal punto di vista della chiusura del ciclo dei rifiuti urbani. Quindi nella nostra controproposta chiediamo di mettere nero su bianco la necessità di realizzare impianti di compostaggio e di termovalorizzazione, e di fermare il traffico di tir che trasportano rifiuti dal centro-sud alle regioni del nord o addirittura all'estero. Nell'ultima versione del Piano è sparito un passaggio che io avevo stigmatizzato dove si parlava nuovi impianti Tmb, che sono l'emblema del fallimento della gestione dei rifiuti del Lazio e di Roma. Nel piano non è chiaro quale sia la linea sull'economia circolare e, inoltre, si dà per scontato che in questo ambito partiamo da zero. Questo non è onesto nei confronti di un comparto industriale che invece è pioniere. La componente dell'economia circolare deve essere assolutamente sviluppata nel Piano di Ripresa. Come controproposta, ad esempio, noi chiediamo di sostenere lo sviluppo del landfill mining, ossia una tecnica di bonifica che deve essere applicata alle vecchie discariche chiuse. In questo modo si ottengono diversi obiettivi, come la bonifica degli inquinanti in discarica, il recupero della materia e il ripristino ambientale. Condivido poi la proposta delle associazioni del comparto dell'economia circolare, di riconoscere un contributo economico per ogni tonnellata di materia riciclata.

In varie occasioni la Lega ha criticato l'impianto del Superbonus (v. Staffetta 30/11/20) evidenziandone i limiti sul piano del rilancio del comparto edilizio. Eppure il Piano di Ripresa stanzia circa 18 miliardi per la proroga del Superbonus fino a tutto il 2022. Condivide questa scelta?

Noi siamo stati critici sul Superbonus perché è stata fatta una misura molto complicata, che oggi è rappresentata da un ginepraio di norme primarie, decreti ministeriali e circolari dell'Agenzia delle entrate. Chiedevamo una semplificazione che ci è stata negata, oltre a un ampliamento della platea dei beneficiari. Inoltre chiedevamo una proroga importante, per permettere ai beneficiari, imprese edili e professionisti di fare una congrua programmazione. Mi pare di capire che in questi dieci mesi, da quando è stato lanciato il Superbonus, non ci sia stata una corsa a richiedere questo incentivo, perché presenta palesi criticità e anche dei rischi per i proprietari e i professionisti che firmano le asseverazioni. C'è infatti il rischio che di fronte a un controllo ex post, si perda il beneficio. Nella legge di bilancio il comparto si aspettava una proroga almeno a tutto il 2023 ed è stata invece stabilita un'estensione a tutto il 2022. Il Pnrr, che si prefigge obiettivi a sei anni, sul Superbonus non ha proroghe, tranne un leggero ampliamento per i condomini e gli Iacp. Questo è francamente deludente. Senza un arco temporale adeguato, rischiamo che il Superbonus non parta e, pertanto, deluda le aspettative di un comparto che ha investito in questi mesi per studiare questa norma. Nella nostra controproposta chiediamo una proroga che arrivi al 2025. Inoltre vogliamo un ampliamento della platea dei beneficiari. Ad esempio c'è il comparto delle scuole paritarie che non sono pubbliche e sono anche escluse dal superbonus. Si tratta di un settore che meriterebbe invece una riqualificazione energetica. Infine credo che aver riconosciuto il 110% , ossia un beneficio fiscale superiore alle spese che vengono sostenute per effettuare l'intervento, sia poco etico. Per quanto riguarda poi l'efficientamento energetico dell'edilizia pubblica, non è previsto niente per gli impianti sportivi comunali. Noi abbiamo fatto una controproposta in modo tale che si possano prevedere degli interventi di efficientamento energetico a sostegno di questi impianti. L'altro tema è quello del teleriscaldamento. Non ce n'è traccia nel Piano, eppure nel nostro Paese ci sono margini enormi per lo sviluppo del teleriscaldamento efficiente, fatto con il recupero del calore di scarto da processi industriali e da fonti rinnovabili. C'è un margine enorme soprattutto nelle grandi città densamente abitate. C'è un pregiudizio da parte del Governo rispetto al teleriscaldamento, come per l'idrogeno blu, il geotermico, l'idroelettrico e le biomasse.

Il Piano è sicuramente migliorabile ma la coperta delle risorse ha una lunghezza definita di circa 210 miliardi. Quindi se si propone di aumentare il finanziamento di alcune di voci, bisognerà tagliare da qualche altra parte. Nella vostra controproposta di Pnrr indicate anche le varie componenti di finanziamento?

Questa è la parte che stiamo curando adesso, è in una fase di elaborazione.

Dal punto di vista della mobilità sostenibile, il Piano di Ripresa si concentra sul rinnovo del trasporto pubblico locale ma non parla del parco veicolare privato. Quale è il suo giudizio in merito?

Si parla ancora tra le righe di un sostegno alla mobilità elettrica perché in più parti si fa riferimento allo sviluppo della rete delle colonnine di ricarica. Il Pnrr solo nella parte dedicata all'economia circolare sostiene che la transizione deve procedere adottando i criteri del life cycle assessment (Lca). Per noi questi principi devono essere applicati a tutto il Pnrr e soprattutto alla mobilità sostenibile. Non si può più andare avanti ad elargire soldi per sostenere la mobilità elettrica, pensando di limitarsi a misurare le emissioni allo scarico del mezzo. È chiaro che un mezzo elettrico non produce nulla in termini di emissioni climalteranti. Ma in base ai criteri Lca dobbiamo verificare le emissioni di CO2 nella fase di produzione dell'autovettura e della batteria, durante la gestione, manutenzione e demolizione. Quindi in base al concetto della neutralità tecnologica dobbiamo sostenere altre forme di alimentazione, che sono ovviamente il Gnl e il gas naturale compresso. Nel Piano c'è qualcosa per quanto riguarda il trasporto pubblico locale. Tuttavia noi riteniamo che la nostra filiera della raffinazione, che sta cercando di convertirsi in un'ottica sostenibile, deve essere supportata anche economicamente per arrivare ad una maggiore produzione di carburanti low carbon, come i biocarburanti e i carburanti sintetici.

L'ultima versione del Piano di Ripresa non affronta ancora il tema della governance, che è stato uno dei punti alla base dell'attuale crisi di governo. Nella vostra controproposta indicate anche una soluzione per la fase di esecuzione dei progetti contenuti nel Piano?

Su questo aspetto stiamo facendo ancora una riflessione. Nel Piano però non c'è nulla anche in ordine ai criteri di selezione dei progetti. Io ritengo che il Pnrr debba sostenere lo sviluppo di progetti in cui ci sia una compartecipazione di finanziamenti tra pubblico e privato. Stiamo parlando di ingenti risorse pubbliche che non ci vengono regalate, in quanto due terzi dei finanziamenti sono a prestito. Devono pertanto essere individuati dei criteri di selezione e dei soggetti in grado di valutare la ricaduta sul pil dei singoli progetti. Solo così si può evitare la dispersione di risorse economiche.

La crisi di governo ha paralizzato la gran parte dell'attività parlamentare, ma nei prossimi giorni si definirà il contenuto del decreto Milleproroghe. Su quali emendamenti punterà la lega?

Tre modifiche sono importanti per noi. Innanzitutto un emendamento riguarda il procedimento per le osservazioni alla Cnapi. Sessanta giorni sono insufficienti perché metà del tempo è già passato. Noi chiediamo una proroga di sei mesi dalla fine della dichiarazione dello stato di emergenza. Poi, a seguito del fallimento dei bandi del DM Fer 1, noi chiediamo che possano essere previsti due ulteriori bandi. Infine sull'attività upstream, il 19 febbraio scadono i due anni entro i quali il Governo doveva approvare il Pitesai e sul quale ci sono state delle schermaglie. Noi abbiamo presentato un emendamento dove diamo altri 12 mesi per l'adozione del Pitesai, ma nel frattempo stabiliamo che non prosegua la sospensione dei permessi di ricerca. Li rendi efficaci subito. Non si può pretendere ancora che le industrie del settore rimangono a braccia conserte in attesa di decisioni tardive del governo.

L'emendamento sul Blocca Trivelle è stato però votato durante il Governo Conte I dalla maggioranza giallo-verde. Al tempo su Staffetta parlammo di “scambio scellerato” (v. Staffetta 04/03/20), in quanto inseriste nel decreto Semplificazione la regionalizzazione dell'idroelettrico in cambio della norma sul Pitesai voluta dal M5S. A posteriori, ne è valsa la pena?

Non oso pensare quale sarebbe stata la definizione se avesse prevalso l'intendimento del M5S. Noi abbiamo contenuto molto i tempi. Erano 18 mesi e con il Conte II ne hanno aggiunti altri 6 per l'adozione del Pitesai. Noi lo abbiamo contrastato. Dopodiché confermo che c'è stato uno scambio con la regionalizzazione dell'idroelettrico. Però alcune imprese hanno capito la necessità del Paese di dotarsi di un Pitesai fatto in modo non demagogico, ossia individuando delle aree dove è possibile svolgere questo tipo di attività. Il ministro dello sviluppo economico Patuanuelli all'inizio di gennaio ha fatto marcia indietro sul Pitesai e ultimamente pare ci abbia ripensato. Noi proponiamo di allungare i tempi per il Pitesai di altri 12 mesi, ma nel frattempo la sospensione dei permessi di ricerca viene meno.